Questa violenza inaudita sta provocando una drammatica e grave emergenza umanitaria, la più significativa dai tempi del genocidio ruandese. Sono infatti migliaia le persone in fuga.
Una fuga spesso senza meta o così impraticabile da lasciare una scia, sempre più evidente, di morti lungo la strada.
Per chi non scappa, per chi decide di non arrendersi e combattere non rimane che l’orizzonte di una sorte ancora più
amara e brutale, se noi non riusciremo a riaccendere concretamente la loro speranza.
Le notizie che purtroppo giungono dalla stampa raccontano di episodi orribili. Episodi che, purtroppo, vedono sempre più spesso, tra le vittime donne indifese. L’Is ha dichiarato guerra alle donne, in particolare a quelle curde e cristiane, e sta utilizzando ogni arma a sua disposizione: femminicidi, rapimenti, stupri, prostituzione forzata, schiavitù sessuale, matrimoni imposti e mutilazioni genitali. Una violenza così brutale da non lasciare, spesso, nessuna alternativa al suicidio per sfuggire a questo atroce destino.
L’assedio delle milizie dello Stato Islamico alla città di Kobane, nell'attuale Kurdistan siriano, è diventata il simbolo della guerra e della resistenza contro le forze distruttrici del Califfato. Così come raccontato dalla rappresentanza delle donne curde della Commissione Esteri del Congresso Nazionale Curdo (KNK) che è stata ricevuta alla Camera dei Deputati e al Senato, la presa di Kobane darebbe il via a una strage senza precedenti.
Ecco perché diventa necessario ed essenziale adoperarsi con ogni mezzo affinché la comunità internazionale riesca, non solo a migliorare i risultati che sta ottenendo con l’attuale strategia, ma perché garantisca l’apertura di un corridoio umanitario tra la città di Kobane e la vicina Turchia così da mettere in salvo migliaia di vite umane.
Come Donne del Partito Democratico siamo profondamente consapevoli della gravità della situazione e faremo quanto in nostro potere, presso ogni opportuna sede istituzionale e politica, affinché l’assedio di Kobane non si trasformi nella Srebrenica dei nostri giorni.
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